resilienza fattori di protezione mara palazzoli selvini 28 Lug 2020

BY: admin

Psicoterapia

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In un precedente articolo, sulla scorta di un capitolo del volume “I pionieri della terapia familiare” abbiamo introdotto il discorso sulla resilienza, la capacità di alcuni individui di trovare in sé le risorse psicologiche necessarie a superare eventi fortemente traumatici e stressanti. Proseguiamo nella trattazione attraverso la vicenda della psicoterapeuta Mara Palazzoli Selvini, nella cui storia è possibile cogliere quegli elementi, chiamati anche fattori di protezione, che consentono alla persona resiliente non soltanto di sopravvivere, ma anche di costruirsi un’esistenza sana, serena, dimostrando spesso anche grandi capacità creative.

Dopo aver raccontato la sua infanzia, arriviamo al periodo dell’università. Quando Mara sta per laurearsi in Medicina, compiendo il percorso che ha scelto per sé, capita spesso che il padre, quell’uomo che di fatto l’ha sempre ignorata e non ha avuto tempo per lei, la presenta ai suoi ospiti come “la mia avvocatessa”. Nonostante questo, Mara riesce a trovare in sé gli strumenti e le energie necessarie a non arrendersi mai, a non mettersi in una posizione di vittima impotente, incapace di lottare per sé.

Mara riesce a essere protagonista della propria vita, scegliendo quello che davvero desidera. Riesce a essere sé stessa, a seguire una strada che è lei stessa a scegliere per sé. “Sentirsi contrapposta ai suoi le dà il senso e la motivazione della sfida. Un altro fattore di resilienza”. Da tutto questo le deriva anche la capacità di lottare, non soltanto per affermarsi personalmente, ma anche per farsi rispettare all’interno delle relazioni significative, come quella con il padre.

La riparazione del genitore e la sua autocritica, un altro fattore di resilienza

Nello stesso periodo in cui Mara sta affrontando gli ultimi esami per laurearsi in Medicina, sua madre si ammala di tumore al seno. È il 1941 e all’epoca una simile malattia non perdona poiché non ci sono terapie adeguate. Nel dramma della malattia, però, si realizza qualcosa di inaspettato e fondamentale per la giovane donna che diventerà una grande psicoterapeuta. Per mesi, Mara non si stacca dal letto della madre, una madre che non l’aveva voluta, che da bambina aveva preferito affidarla alle cure di un’altra, non prendendosi cura di lei.

La madre, Italia, di fronte all’atteggiamento della figlia, rimane sbalordita e dimostra una grande consapevolezza delle proprie mancanze di genitore. Riesce a dirle quanto l’ammira per la dedizione con cui le sta vicino, accudendola, perché sente di non essersi meritata un trattamento del genere. Arriva a chiederle scusa, piangendo, per non averle dato poi molto, come madre.

Sul letto di morte, Italia dirà a Mara che dal cielo le sarà sempre vicina, la proteggerà e lei potrà sempre chiederle aiuto. E così sarà davvero. Mara terrà sempre nella sua stanza un ritratto della madre e cercherà in lei conforto e sostegno nei momenti difficili. Questo è un altro fattore di protezione o fattore di resilienza: la riparazione del genitore, la sua capacità di fare autocritica, di ammettere i propri errori e mancanze.

Una capacità che Mara eredita, acquisisce e fa sua come madre e che cerca anche di trasmettere ai propri pazienti durante il lavoro come psicoterapeuta.

“Le lacrime della mamma hanno rappresentato una fondamentale riparazione, ma Mara le ha conquistate grazie all’aver saputo dare il meglio di sé, sfuggendo all’insidiosa trappola della vendetta: ecco un altro importante fattore di resilienza”.

Quest’esperienza è stata fondamentale anche dal punto di vista affettivo, nell’esaltazione del valore personale di Mara. Il grande rischio che corrono le persone resilienti, che si trovano a fronteggiare tante avversità, è quello dell’aridità affettiva, di un’incapacità di coltivare le relazioni che conduce a chiudersi nel proprio individualismo e in una sorta di autosufficienza autarchica.

Soltanto dopo quest’esperienza, diremmo catartica, Mara riesce a costruire la sua prima vera relazione stabile, ormai alla soglia dei trent’anni, quella con Aldo, l’uomo che sposerà.

Lottare senza odiare: la resilienza e il rapporto con il padre

Un altro fattore di resilienza si trova nella capacità di Mara di fronteggiare la personalità del padre Daniele. Un uomo che, come visto nell’articolo precedente, si concentra sul lavoro, dà poco agli affetti, è collerico e violento tanto da fare paura a tutti, anche alla moglie.

Ma Mara non si piega, ha la forza e il coraggio, unica della famiglia, di affrontarlo, di dargli persino dello scemo, davanti a tutti. Lui prima tenta di difendersi, poi di rimando la minaccia di diseredarla. Lei non si lascia intimidire, gli risponde di tenersi i suoi “quattro stracci”. Eppure, nonostante questo rapporto turbolento, Mara riuscirà a stare vicino anche al padre, ormai anziano e depresso dopo la morte della moglie e l’allontanamento della figlia, adulta e sposata.

Anche il padre di Mara, in qualche modo, può essere descritto come un soggetto resiliente, un individuo che è riuscito ad andare avanti nella vita e ad avere successo nonostante delle premesse che avrebbero dovuto “affossarlo”. Nato in una famiglia di piccoli commercianti milanesi, quartogenito, anche Daniele subisce l’esperienza dell’abbandono da parte del padre, che lo rifiuta alla nascita, convinto che quel bambino non sia figlio suo. Inoltre, perde la madre a soli tre anni e, di fatto, trascorre gran parte della propria infanzia in strada perché il padre stesso non lo accetto, non gli consente di vivere in casa. La sua sopravvivenza è determinata dalla presenza di una sorella più grande, che continua a portargli cibo di nascosto e, di notte, lo fa entrare per dormire in un letto.

La capacità di costruire legami di appartenenza

L’ultimo fattore di protezione citato da Matteo Selvini è quello che lui ritiene basilare: la capacità di costruire legami di appartenenza molto forti, legami che si propongono come alternativi rispetto a quelli familiari, evidentemente carenti. Mara conferisce un’enorme importanza alla sua balia, colei che l’aveva accolta in casa, allattata e cresciuta e che lei stessa, quando era stata portata nella casa paterna, aveva continuato a cercare.

L’amore che aveva ricevuto da lei era stato fondamentale per la sua formazione.

Forse, come scrive Matteo Selvini, nel corso della sua vita Mara ha idealizzato un po’ quel rapporto, quell’amore ricevuto da piccolissima. Ma è straordinario pensare che l’uomo che ha sposato e con il quale costruisce una famiglia viene dagli stessi luoghi in cui è cresciuta, dalle sponde del lago di Varese, ed è figlio di contadini, esattamente come il marito della sua balia-mamma Rosa. Da adulta Mara recupera l’affetto di Rosa, proprio nel momento in cui lei stessa mette al mondo un bambino, il suo figlio primogenito Michele. Rosa e la sua famiglia diventano parte integrante della famiglia di Mara.

Ma ciò che si rivela estremamente terapeutico è il matrimonio con Aldo, a cui Mara è unita in un legame fortissimo. “In quel legame mia madre riuscì persino a regredire. Per molti anni ridimensionò fortemente le velleità professionali e si visse soprattutto come mamma” scrive Selvini.

Ci sono poi i grandi legami affettivi realizzati in campo professionale, le amicizie con psicoanalisti poco convenzionali, con i membri dell’equipe con cui lavora con grande affiatamento e creatività.

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